Ciao a tutti!
Oggi voglio parlarvi di un libro appena terminato: “Soltanto silenzio” di Massimo Cassani.
Ho ricevuto il libro in regalo dallo stesso autore, con tanto di dedica: un gesto inaspettato, che mi ha fatto molto piacere, soprattutto per le parole di incoraggiamento per il mio lavoro e per il blog.
So già che i malfidati staranno pensando “ecco, ora ne parlerà sicuramente bene perché l’ha ricevuto in regalo”. Ci tengo a precisare che ricevo numerosi libri in regalo. Purtroppo non riesco a leggere tutto, soprattutto in tempi brevi, quindi mi ritrovo a selezionare cosa leggere anche sulla base dei miei gusti personali.
E se può tranquillizzarvi, il libro di Cassani per me è stata anche una sfida, visto che non amo (o meglio, non amavo) particolarmente le indagini con protagonista un commissario. Mi concedo qualche giallo d’estate, e ho letto alcuni libri di Carofiglio, amandoli più per l’atmosfera che l’indagine vera e propria.
Proprio su “la Lettura” di qualche settimana fa leggevo che solo quest’anno nella narrativa in Italia si contano 38 commissari. Non lo scrivo per esteso, ma con il numero, in modo da renderlo più efficace: una cifra abbastanza alta da creare un unico calderone, dal quale difficilmente avrei attinto.
Chiusa la premessa doverosa, possiamo passare al libro.
Ho scoperto che il commissario Micuzzi, il protagonista, si trova anche in altri tre precedenti libri dell’autore: Sottotraccia, Pioggia battente e Zona franca. Tutti editi da TEA, come questo.
Temevo di ritrovarmi in una storia già iniziata in precedenza, con personaggi già approfonditi, episodi non finiti.. Temevo di fare la figura di quella che si imbuca a festa già iniziata, trascinata da amici di amici di amici, dove non conosce nessuno, manco sa di chi sia la casa, intenta a bere drink in un angolo, sperando che tutto possa finire al più presto. A chi non è mai capitato? 🙂
Anche i personaggi, quindi, non sono nuovi: si fa riferimento a qualcosa che è successo in passato, e che ha condotto il commissario Micuzzi in un nuovo ufficio. Il perché probabilmente viene raccontato nel libro precedente (che presto mi accingerò a leggere). Così come scopro che Micuzzi ha una ex moglie: ci mette al corrente di cosa sia successo, senza però dare ulteriori indicazioni sulla loro storia.
Tuttavia questi richiami al “passato” vengono inseriti con estrema intelligenza: permettono comunque al lettore di avere la sensazione, sin da subito, di leggere un libro che si regge in piedi da solo, e non autorizzano mancate descrizioni, caratterizzazioni dei personaggi che spesso nelle saghe si perdono dopo il primo libro. Come a dire: “Io ne parlo nel primo libro, se non l’hai letto peggio per te”.
No.
In questo caso c’è un’attenzione nei confronti dei nuovi lettori che ho molto apprezzato. Probabilmente ha fatto leggere il manoscritto a chi non conosceva Micuzzi.
In sostanza, si vede che c’è un bel lavoro dedicato a questo aspetto.
Il libro inizia ad ottobre del 1978, in una domenica come tante. Queste prime due pagine danno il titolo al libro: dopo due colpi , che alcuni attribuiscono a un petardo, altri a uno sparo, si sente “soltanto silenzio”.
Successivamente il lettore si ritrova ad ottobre del 2013: il commissario Micuzzi viene trasferito a un nuovo commissariato, dove deve principalmente presidiare il territorio, un quartiere multietnico di Milano.
La sue ex moglie, Margherita, lo invita a cena per fargli conoscere il suo nuovo compagno, Gaetano Mastronardi. La situazione è abbastanza surreale: Micuzzi vorrebbe essere ovunque tranne che lì, a cercare di sorridere a un uomo che comunque non può che detestare, e a ignorare la gelosia che non pensava di provare.
Scopre così che da ragazzo Gaetano ha giocato in una partita di calcio arbitrata da Micuzzi, proprio la domenica che viene descritta all’inizio del libro, nell’ottobre del 1978.
Un intreccio che sveglia la curiosità del lettore, già dopo poche pagine. Proprio mentre si fantastica su che tipo di legame abbiano i protagonisti con quella domenica, qualcuno spara a Gaetano, in mezzo al ristorante.
Micuzzi, da semplice invitato alla cena si trasforma quindi in testimone, e successivamente in investigatore: chi ha sparato a Gaetano? Perché dovrebbe avere nemici? Margherita è al sicuro?
Le prime indagini fanno pensare a uno scambio di persona, a un errore, ma Micuzzi non ne è convinto. Soprattutto lui non crede nelle coincidenze, e dopo quell’episodio non tardano ad arrivare.
La storia prosegue passo dopo passo: l’indagine viene vissuta dal lettore attraverso gli occhi di Micuzzi. La voce narrante, essendo la sua, è quindi auto-diegetica, come si dice in gergo tecnico (il cono di consapevolezza è medio). Tuttavia alle sue vicende il lettore può assistere anche a fatti che inizialmente sembrano scollegati (come la domenica del 1978), ma che successivamente si intrecciano sempre di più con la storia.
Anzi, sono intrecciati sin dall’inizio, e il lettore se ne accorge poco a poco. Nonostante sappia più di Micuzzi, grazie a questi fatti narrati ogni tanto, comunque la risoluzione delle indagini avviene assieme a lui, e molte cose vengono rivelate proprio nelle ultime pagine, ad azioni concluse.
Un esempio rarissimo di miscela di punti di vista: un punto di vista a focalizzazione zero (cioè nei momenti in cui il narratore sa più di uno dei personaggi) mischiato a un punto di vista a focalizzazione interna, cioè quello di Micuzzi. Il risultato? Una soluzione omogenea. Gradevole come un mojito ben fatto. Nè troppa menta, nè troppo rum.
In genere, a colpo d’occhio diversità di questo tipo saltano subito, se usate male.
I personaggi, poi, sono caratterizzati molto bene: spesso allo stato d’animo è associata una condizione climatica. Un modo per evidenziare, senza dire, quello che in quel momento deve arrivare al lettore del personaggio.
Sebbene non sappia molto dell’aspetto fisico di Micuzzi, ho l’impressione di conoscerlo da una vita! Nella mia mente si è formata un’immagine per ogni personaggio sin dalle loro prime apparizioni. E non l’ho più cambiata. Non saprei nemmeno dire dove e quando parla dei suoi personaggi, però lo fa, perché potrei fare un identikit per ognuno di loro, tanto per rimanere in tema.
Ma la vera sorpresa sta proprio nel finale, dove non solo assistiamo alla risoluzione dei misteri, ma scopriamo che tutto il libro è una versione “romanzata” di un fatto di cronaca realmente esistito, che ha fatto la storia del secolo scorso, e che tutti conoscono. Questo spiega la didascalia sulla copertina del libro: “un’inchiesta del commissario Micuzzi”. Non un’indagine. Un’inchiesta.
Per mio gusto personale tendo a evitare libri che si basano su fatti di storia vera, che cercano di fare leva sul tema piuttosto che sulla storia, sull’intreccio, sulla bravura dell’autore. Magari sono dei libri bellissimi, ma non li leggo. Sono dell’idea che un bel libro cammini con le proprie gambe: anche se ti ispiri a fatti accaduti realmente, non deve essere questo il motivo per il quale vendi. Questo è il mio pensiero.
In questo caso ho scoperto solo alla fine di cosa stesse parlando l’autore: il fatto che né nella didascalia né fino alle pagine finali viene minimamente citato il fatto di cronaca vera mi fa credere che l’autore la pensi come me, che non voglia mettere in gioco, anche per rispetto, grandi nomi e grandi fatti, lasciando alla storia il suo spazio, la sua identità e la sua autonomia. E’ il primo a credere nelle sue abilità, nel suo libro, nella sua scrittura: un motivo in più per stimarlo.
Alla fine, oltre a una storia intrigante, che non puoi smettere di leggere, rimane anche la voglia di pensare alla sua interpretazione dei fatti, a come la narrativa si possa prestare a cose importanti, senza risultare invadente o presuntuosa. A un nuovo modo di fare narrativa. Di fare storia. In questo libro ho visto soprattutto una grande umiltà da parte dello scrittore, qualità rarissima da trovare.
In un articolo dedicato a questo libro ho letto che probabilmente ci troviamo di fronte a un nuovo grande giallista.
Io preferisco affermare che ci troviamo di fronte a un nuovo modo di fare gialli, e quindi, di conseguenza, di fronte a un grande giallista, sebbene io non sia mai stata una grande lettrice di gialli. Per questo il mio giudizio non può non risultare sincero.
Infine, visto che siamo quasi a fine anno, posso sottolineare che tra tutti i libri letti quest’anno, è stato uno dei pochi che mi ha fatto dimenticare la fame, il sonno, la sete, il freddo, pur di leggerlo. Non leggevo con entusiasmo da parecchio tempo (e i post del mio blog lo possono testimoniare).
E se ha conquistato me, sono sicura conquisterà anche voi. Ecco. 🙂
Giovanna
Ecco un titolo che mi segno per i prossimi regali.