Massimo Polidoro – Il passato è una bestia feroce

Ciao a tutti! E’ giunta finalmente l’ora di parlarvi del libro che mi ha tenuto impegnata nell’ultimo periodo, ovvero “Il passato è una bestia feroce” di Massimo Polidoro.

La mia copia!

Uscito il 3 marzo per Piemme, ha già ottenuto una prima ristampa! Non mi stupisco di questo, perché il libro è davvero meritevole.

La storia inizia a Milano, dove Bruno Jordan, il protagonista del libro, lavora in una redazione di una rivista. Una vita come tante, fatta di giornate tutte uguali infilate una dopo l’altra come perle di una collana.

Un giorno però, riceve una lettera: la si può definire una lettera dal passato, visto che il mittente è Monica, la sua amica d’infanzia, scomparsa nel nulla trent’anni prima. Chi ha spedito quella lettera a Bruno? Per quale motivo? Un po’ per curiosità, un po’ per voglia di nuove emozioni, Bruno torna nel suo paese di origine, indagando personalmente sulla vicenda.

Come sempre, nei miei post non rivelo niente che possa rovinare la lettura, per questo non aggiungerò altro circa la storia.

Mi piacerebbe però condividere con voi cosa mi è piaciuto del libro (e come sempre ricordo che il giallo non è il mio genere preferito).

  • Le atmosfere: non ci sono descrizioni che durano pagine, angoli descritti minuziosamente, ma si ha subito la sensazione di esserci già stato nei posti raccontati. Soprattutto non si fa fatica a “viverli”, a capire cosa trasmettano al personaggio. A un certo punto Bruno va a parlare con la mamma di Jordan: quel momento è l’esempio migliore di quello che sto dicendo. Poche volte ho letto scene così ipnotiche, così coinvolgenti, sebbene non stia succedendo niente a livello di azioni. Questo denota un’abilità rara negli scrittori, cioè il mostrare senza dire (il famoso “show, don’t tell”). Ecco, qui più che “show” direi “live, don’t tell”, perchè sembra proprio di essere lì, di essere Bruno. Persino il respiro si sincronizza con quello di Bruno.

 

  • La narrazione: come si dice in gergo “tecnico”, la voce narrante è autodiegetica, cioè chi racconta è il protagonista (con punto di vista a focalizzazione interna). Una narrazione in prima persona è sempre difficile da gestire: si rischia di dare per scontate molte cose, di non mettersi nei panni di chi legge e tralasciare informazioni utili per la logica della storia ma anche sensazioni, emozioni che invece devono arrivare. Sono stati scelti dei tempi passati che valorizzano una scelta del genere.

 

  • L’attenzione grafica: in base al periodo della narrazione (che principalmente è attuale, ma ogni tanto torna indietro di trent’anni) cambia il tipo di carattere utilizzato per la stampa del testo. Il salto è chiaro, sia dai titoli dei capitoli, sia dal contenuto stesso. Eppure Polidoro, così facendo, sottolinea il cambiamento, predispone il lettore alla curiosità, gli instilla la sensazione che quelle poche pagine del passato siano importanti, degne di nota in tutti i modi.

 

  • Il titolo dei capitoli: ad esempio “Sabato 31 gennaio Ore 20.35”. A me ha fatto l’effetto di una bomba carica, pronta a esplodere. Ha scandito il ritmo come il metronomo di un pianoforte (metafora non casuale), assieme al respiro di Bruno che, come dicevo, si allinea subito con quello del lettore.

 

  • Il ritmo: è come farsi un giro sulle montagne russe. Ti siedi, leghi le cinture, e parti. Ogni tanto qualche salita, ma non sai cosa c’è alla fine. Una discesa, magari un giro della morte. Si passa da momenti di grandi azioni a momenti di raccordo, fino a quando però le cose precipitano, fino a quando si arriva a leggere un capitolo che regala le stesse sensazioni di un film (non dico quale per non rovinare le sorprese). Solo per quel capitolo, per quel modo di far precipitare le cose, il libro merita la lettura. Un punto di non ritorno perfetto, sia per coerenza, per credibilità, sia per la sua costruzione. Io non ci ho dormito la notte..

 

  • Credibilità e plausibilità dei fatti: un fattore fondamentale per i gialli. Come ripeto sempre, a un certo punto tutti i nodi devono venire al pettine, e non c’è spazio per spiegazioni che traballano, o che non siano all’altezza dell’intelligenza del lettore. Come li definisco io, i “finali con gli alieni”, dove si cerca di spiegare tutto con tre pagine risolutive li detesto (qui il link di una recensione a un libro che ho odiato proprio per questo motivo). Le spiegazioni arrivano, ben diluite e ben motivate.

 

  • Il finale: ho ipotizzato diversi finali possibili, sin dall’inizio. Ebbene, sono contenta di confessarvi che nessuno di questi coincide con quello proposto dall’autore. Credo che un giallo si possa giudicare ben riuscito quando riesce a fare ciò, a sorprendere il lettore su eventuali ipotesi. Sempre ovviamente nei limiti della credibilità e plausibilità di cui si diceva poco fa.

 

Vorrei anche ricordare che Polidoro, nella sua carriera, ha sempre scritto saggi scentifici: in genere parto scettica nei confronti di persone che dopo anni in un settore decidono di provare a fare altro. Più che altro perché ho letto numerosi libri di persone che hanno cambiato “mestiere” all’improvviso, deludendo le mie aspettative. In questo caso si percepisce subito che non è un libro “improvvisato”, che c’è dietro anni di letture di settore e un lavoro di architettura non indifferente. Dubbi e curiosità che ho soddisfatto anche grazie all’intervista che mi ha concesso in esclusiva per il mio blog, e che riporto in seguito insieme ad alcune foto.

Infine, ci tengo a ringraziarlo personalmente: per il tempo che mi ha dedicato, per la disponibilità, per l’attenzione – vera – che mi ha dedicato, e che dedica a tutti i suoi lettori, confrontandosi e ascoltando chiunque abbia qualcosa da dirgli. Un motivo in più per apprezzare il suo libro.

Giovanna

Eccoci!

Presentazione del libro a Milano

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La tua lunga attività come divulgatore scientifico ha origini da ragazzo, quando sei stato catturato da un programma televisivo in cui si parlava di fenomeni paranormali: il tuo amore per la scrittura ha le stesse origini? E’ una passione che coltivi da sempre o ti sei avvicinato allo scrivere storie da poco? Come è successo?

Amo scrivere sin da quando ero bambino. Le primissime storie che scrivevo erano a fumetti. Conservo ancora quaderni pieni di racconti con le avventure che sognavo di vivere e che poi mi divertivo a disegnare. Il primissimo romanzo che ho scritto, non ancora maggiorenne, era un giallo “paranormale”, dove un evento all’apparenza inspiegabile trovava poi una soluzione razionale. Era solo un gioco, però. O, meglio, un primo esercizio per capire se ero in grado di raccontare storie. Come tale è sempre rimasto chiuso in un cassetto e là resterà per sempre. Poi il piacere di raccontare l’ho sempre coltivato. Al di là dei saggi, che ho sempre cercato di rendere in una forma scorrevole e accessibile a tutti, più vicina alla narrazione che al classico tomo divulgativo, storie ne ho sempre scritte. In un altro cassetto conservo una serie di apocrifi sherlockiani che sono stati tra le cose che più mi sono divertito a scrivere…

 

Hai scritto numerosi saggi, libri “storici”, libri per ragazzi, libri inchieste: come mai hai deciso di provare un nuovo genere, quello del thriller?

Perché è il tipo di letteratura “di svago” che preferisco. Li leggo da sempre e, quando sono scritti bene, li trovo uno strumento straordinario per immergermi, anche solo per qualche ora, in un mondo totalmente diverso e lontano dal mio. Da sempre sognavo di scriverne uno, ma mi rendevo conto che era qualcosa che non si può improvvisare. O, meglio, c’è anche chi lo fa, ma io volevo arrivarci sentendomi pronto, dopo un lungo tirocinio fatto di studio ed esercizio.

 

Qual è stato l’elemento, il momento, o l’episodio che ti ha convinto a passare dall’idea ai fatti? Quando, insomma, ti sei convinto?

Prima di tutto quando ho visto che lo spunto che avevo immaginato come inizio per il mio romanzo – la scomparsa di una bambina il giorno in cui l’Italia vinceva i mondiali del 1982 – iniziava a stimolare nuove idee e spunti inattesi. Era la prova che la storia era solida e poteva riservare piacevoli sorprese. E poi quando mi sono reso conto che anche la mia tecnica era cresciuta, quando cioè mi sono sentito in grado di gestire una storia fatta di intrecci che avvengono su diversi piani e trovano poi il modo di incastrarsi uno nell’altro in maniera scorrevole e senza lasciare tracce. A quel punto ho iniziato il lavoro che è proseguito per almeno un paio d’anni.

 

Hai avuto momenti, durante la scrittura, in cui hai pensato di lasciare perdere? Se si, cosa ti ha spinto ad andare avanti?

Non ho mai pensato di lasciare perdere. Sapevo di volere scrivere un buon thriller e, dunque, quando ho iniziato il lavoro non mi sono mai perso d’animo e ho affrontato le inevitabili difficoltà una alla volta, studiando il modo migliore per superarle. Mi ha aiutato anche il fatto che nessuno sapeva di questo thriller: è un progetto che ho intrapreso “da solo”, nel senso che al mio agente ne ho parlato solo una volta che era terminato. In questo modo, non ho avuto scadenze da rispettare e, dunque, nemmeno l’obbligo di finire entro una certa data.

 

Sei riuscito a fare della tua passione un mestiere ricco di soddisfazioni: basta solo quella? Che consigli riesci a dare ai giovani d’oggi?

La passione è fondamentale. Credo sia difficile raggiungere risultati di cui essere pienamente soddisfatti se non si fa qualcosa che ci appassiona fino in fondo. Ma, naturalmente, la passione non basta. Serve anche tanta pazienza e determinazione. Non bisogna pensare che i risultati devono arrivare subito per forza. Magari si lavora per anni senza che nessuno se ne accorga, ma bisogna insistere e tirare dritto, senza lasciarsi scoraggiare e puntando solo a migliorarsi continuamente. Se ciò che si fa è buono, difficilmente resterà nascosto tanto a lungo. E credo sia un consiglio valido in qualunque campo, non solo in quello della scrittura.

 

Qual è stata la prima cosa che hai pensato quando hai saputo che avrebbero pubblicato il tuo romanzo?

Forse, dopo quaranta libri, l’entusiasmo del neofita non c’è più, ma l’idea che sarebbe uscito un libro per me completamente diverso dagli altri mi ha comunque emozionato. Era, ed è tutt’ora, una sfida. Quello del “giallo”, del thriller, è un mondo affollato. Dove ci sono tanti autori bravi, e anche meno bravi. Riuscire a emergere, soprattutto per chi, come me, in questo settore esordisce è una vera sfida. Tuttavia, vedere le risposte positive che arrivano da chi legge Il passato è una bestia feroce, da parte dei lettori che mi scrivono o che incontro alle presentazioni, mi entusiasma e mi fa pensare che forse era ora che mi dedicassi in maniera decisa alla narrativa.

 

I concetti di “bene” e “male” che fino alla fine del romanzo vengono stravolti e capovolti vogliono fornire al lettore un insegnamento?

Non mi piace l’idea di dare insegnamenti. È vero che bene e male si inseguono e si capovolgono più volte, ma forse è solo perché questo succede spesso anche nella vita vera. Se da questo si può trarre un insegnamento, direi che è semplicemente il fatto che le cose non sono mai bianche o nere e che bisogna imparare a convivere con l’incertezza.

 

E’ previsto un seguito? A giudicare dal finale direi di si: puoi anticipare qualcosa?

Mi sono in effetti affezionato a Bruno Jordan, il protagonista del romanzo, credo sia un personaggio in cui i lettori riescono facilmente a riconoscersi. Un tipo piuttosto singolare, uno che affronta la vita con ironia e che, fedele al suo nome, non sopporta dogmi o imposizioni dall’alto. È il tipo di persona con cui credo sarebbe divertente passare una serata o andare in vacanza. Che le sue avventure non si fermino qui è qualcosa che i lettori mi stanno chiedendo a gran voce dal momento che il libro è uscito. E l’ultima cosa che voglio è deludere i miei lettori…

 

Puoi raccontarci una giornata “tipo” dello scrittore di romanzi? Passi molte ore al tavolo o preferisci cercare l’ispirazione in altri modi? Hai uno studio dove scrivi o scrivi dove ti capita?

Ho uno studio, dove scrivo al computer, circondato dalle migliaia di libri della mia biblioteca. Inizio presto, alle otto mi metto davanti al monitor e per tutta la mattina mi concentro sul progetto più impegnativo. Dopo pranzo ricomincio e continuo fino a sera lavorando magari a progetti diversi, seguendo le attività del CICAP, sbrigando la corrispondenza e curando tutti i miei canali sul web indispensabili per mantenere un filo diretto con chi segue il mio lavoro.

 

Che progetti hai per il futuro?

Nell’immediato mi occuperò della biografia del mio mentore, James “The Amazing” Randi, lo straordinario erede del grande Houdini. Artista della fuga, illusionista di fama internazionale ha dedicato la vita a smascherare le truffe dei ciarlatani del mondo dell’occulto. Ha vissuto una vita che è un romanzo d’avventure e sono onorato che abbia scelto me per raccontarla.

 

Auguro a Massimo tutto il meglio per i suoi progetti, in attesa di leggere nuove avventure di Bruno Jordan. Qui sotto i link alle sue pagine:

Sito ufficiale di Massimo Polidoro

Pagina ufficiale di Massimo Polidoro su Facebook

Gruppo di Facebook dedicato a “Il passato è una bestia feroce”

pol

 

 

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2 risposte a "Massimo Polidoro – Il passato è una bestia feroce"

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  1. Ritmo e atmosfere… yum! Già mi pregusto di far preoccupare un pendolare sconosciuto perché mi viene il fiatone mentre leggo, come è successo con la parte della battaglia finale del Signore degli Anelli…

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