Ciao a tutti! Eccomi tornata non con un libro, bensì con due!
I libri in questione sono Nemmeno le galline e Nemmeno Houdini, di Alessio Mussinelli. Sono entrambi pubblicati da Fazi Editore.
Come spiegavo già nelle novità in uscita ero molto curiosa di leggere questi libri, perché è già diverso tempo che ne sento parlare.
I due libri non raccontano la stessa storia, sebbene i personaggi e i luoghi siano i medesimi. Per questo ho letto il secondo (due volte) per poi passare al primo (anche questo letto due volte).
Ci troviamo sul lago d’Iseo, nel 1938, che fa da sfondo per le avventure di un piccolo paesino e dei suoi abitanti. Il primo libro è incentrato su una gara di volatili che viene organizzata ogni anno, il secondo sposta l’attenzione su uno dei personaggi, la vedova Moranti, che cerca un giovane maggiordomo con il quale intrattenersi.
Aprendo il primo libro si nota una bella cartina della zona, squarciata in due da una linea rossa, un confine che segna la divisione tra Bergamo e Brescia: una divisione che verrà più volte rimarcata nel libro.
Sarà una sciocchezza, ma io amo i libri che hanno la primissima pagina decorata. Mi ricordano quei bei libroni grandi di fiabe che avevo da bambina. Chi ha detto che i libri per adulti non possono avere immagini? 🙂
Inoltre questa cartina permette di iniziare a fantasticare sulla storia prima ancora di averla iniziata (magari parlerò del mio amore per le cartine in un altro momento).
Avendo ricevuto dalla casa editrice il comunicato stampa, e avendo sentito già parlare dell’autore, sapevo che era giovane ed esordiente. Con giovane intendo 30 anni (27 quando scrisse il primo).
Non inizio mai un libro con dei pregiudizi, ma pensavo di sapere cosa stavo per leggere. Ho letto numerosi libri di esordienti e ho spesso riscontrato caratteristiche analoghe. Ero solo un po’ perplessa dal fatto che la storia narrata si svolga negli anni trenta.
Lasciatemi dire che a fine lettura ero di stucco: non leggevo un libro così soddisfacente da non so nemmeno quanto tempo!
Ecco gli aspetti che vorrei approfondire:
–ambientazione: parlo spesso della credibilità dell’autore, del fatto che difficilmente si può raccontare qualcosa senza averla vissuta. Non penso che Alessio abbia inventato la macchina del tempo (ma se così fosse ti prego di farmela provare). Mi è più facile pensare che abbia fatto tesoro dei racconti dei nonni. Probabilmente quel tipo di racconti capaci di suscitare in una mente curiosa la voglia di riviverli. Racconti di un dettaglio, di una persona, di un episodio di ordinaria quotidianità, ben diversi da quello che potrebbero essere oggi. E’ qui che sta il valore: quello dei nonni nel voler raccontare al nipote il loro passato, e quello del nipote, che riconosce un enorme potenziale, un tesoro da scoprire in quelle parole. Difatti la nonna viene ringraziata all’inizio del suo primo libro (e sono d’accordo con lei sull’importanza della lavatrice).
–personaggi: molti di loro hanno dei soprannomi. Nel momento in cui vengono introdotti, invece dell’ormai fin troppo frequente identikit (alto, moro, occhi castani, di bell’aspetto, giovane padre di famiglia, era vestito con pantaloni.. etc etc) viene subito assegnato un soprannome. Soprannome che fa riferimento all’aspetto principale del personaggio e che spesso strappano una risata, sia per cosa vanno a rimarcare, sia per come vengono scelti. Inizialmente mi avevano dato quasi fastidio tutti questi soprannomi: pensavo fosse una scelta comoda per introdurre il personaggio e per suscitare di nuovo la risata. Rileggendo il libro invece ho capito che era questa la scelta scomoda, il voler trasformare una persona qualunque in un ruolo ben definito, quasi allegorico. Un po’ come sfogliare un mazzo di tarocchi: c’è la pazienza, la perseveranza, il diavolo.. Carte che dovrebbero raccontare qualcosa, proprio come i soprannomi presenti nei due libri. E a proposito di diavolo, preparatevi a una divertentissima espressione!
Penso che i nomi che vengono dati ai personaggi siano importanti, suscitano nella mente del lettore sensazioni legate alle nostre conoscenze. In automatico pensi a chi conosci con quel nome e te lo immagini come lui. Con questo abile stratagemma l’autore impedisce tutto ciò. Il bello è che non te ne accorgi minimamente. Nemmeno Houdini sarebbe capace di tanto..
–vicenda: non ci sono intrecci complicati, fatti sconvolgenti, colpi di scena da thriller. C’è un paesino e i suoi abitanti. La quotidianità è sconvolta da loro stessi. Si ritrovano in situazioni paradossali semplicemente perché appunto entrano in gioco personalità differenti. Sono loro stessi a generare la storia. O meglio, è come prendersi una settimana di vacanze e andare in villeggiatura nel loro paese, e osservare quello che succede. La sensazione che si prova è quella di sapere che se dovessimo tornare nel paesino, ci sarebbero altri fatti di cui ridere e altre storie per le quali provare interesse. Ed ecco qui che ritorna il valore che dicevamo sopra, magnificamente messo nero su bianco, nelle pagine di questi due libri.
Ho amato molto La spartizione di Piero Chiara (di cui parlo qui) per lo stesso motivo. E il fatto che nel secondo libro Alessio lo citi, mi fa pensare che piaccia anche a lui per lo stesso motivo (anche se nell’intervista riportata sotto vengo smentita). Con questo non voglio dire che abbia copiato, perché si tratta si di umorismo autogenerato dagli stessi protagonisti, ma in maniera differente. In Piero Chiara abbiamo un protagonista alle prese con tre figure allegoriche, con un punto di vista quasi a imbuto. Qui non c’è nessun punto di vista particolare, solo un paesino che ci apre le sue porte.
-questo mi permette finalmente di parlare della vera star del libro, che è la scrittura. Se la storia non presenta grandi intrecci, perché dovrei leggerlo? Per godere appieno di una scrittura che sembra frutto di anni di lavoro, di continue ristesure. Quando leggo un libro la mia mente da editor in automatico ragiona su come si possa scrivere diversamente una frase. Leggendo questo libro invece ti rendi conto che vengono adottate scelte linguistiche che a me non verrebbero mai in mente, da quanto sono raffinate e ben bilanciate. Non solo la singola frase è scritta bene, con i giusti vocaboli, con delle figure retoriche meravigliose. Ma si lega perfettamente a quella precedente, a quella successiva, all’intero capitolo. Succede anche che una frase, un’immagine, un modo di dire viene messo in un punto per poi essere usato diversi capitolo dopo, dandoti la certezza che questo è un libro pensato in ogni sua singola lettera. Per me questo significa essere scrittori (che io me li immagino come degli architetti). A vendere fogli di carta rilegati ci vuole molto meno (come testimoniano le sfumature inschiodabili dalla classifica da anni).
E’ questo aspetto ad avermi lasciato senza parole: credo che uno scrittore arrivi a farlo dopo anni di scrittura, di confronti con il pubblico, con la letteratura del periodo, con i grandi classici, con il parere degli editor. Si prende il meglio da tutte queste cose e si crea il proprio, personalissimo, stile (parola che non mi piace ma in questo caso rende l’idea del concetto). Qui abbiamo un ragazzo, come gia detto, giovanissimo, esordiente, bravo come pochi, che è riuscito nell’ardua impresa di scrivere un libro per il gusto di scrivere. Qui abbiamo una storia che si apprezza senza riserve, che si legge per il gusto di godere di ogni frase. Di conseguenza si gode di ogni singolo istante in quel paesino. Come se ci fossi anche io, come se lo stessi vivendo anche io. Come se il ricordo dei nonni fosse incastonato tra le parole, valorizzandosi a vicenda.
Due facce della stessa medaglia. E come succede con le pietre preziose, una di fianco all’altra formano un bellissimo gioiello. Il fatto poi che Alessio dica che ama chi non usa la scrittura come fine ma come mezzo mi da la conferma di avere tra le mani qualcosa di unico anche per un altro motivo: la spontaneità.
Mi auguro che questi due libri abbiano il successo che meritano: per tutti i motivi elencati sopra rappresentano sicuramente qualcosa di inedito, qualcosa che secondo me mancava nella letteratura del momento. Non so se possano soddisfare la domanda momentanea del mercato, visto che i libri in classifica sono molto diversi da questi. Sono contenta però che leggere qualcosa di diverso sia ancora possibile.
Vi lascio con alcune domande alle quali l’autore ha gentilmente risposto.
Non vi chiedo quanti di voi abbiano già comprato i suoi libri, ma vi impongo di farlo!
Giovanna
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Si rimane di stucco quando si scopre la tua giovane età, trent’anni, visto che il romanzo è ambientato quasi settant’anni fa: dove hai preso l’ispirazione? Dal posto in cui vivi o dai ricordi dei tuoi nonni?
Dai racconti dei nonni. Sono stati fonte di grande ispirazione, sia per alcune vicende e aneddoti inseriti nel romanzo, sia per l’atmosfera. Nelle loro storie si respira la genuinità dei comportamenti umani in un periodo storico in cui il fine non era l’arricchimento quanto la sopravvivenza. I nonni appartengono a una generazione che ha vissuto la guerra, ne ricorda le difficoltà, sa distinguere un privilegio da un bisogno. È una cosa che mi ha sempre colpito molto: i loro occhi sono in grado di percepire con estrema naturalezza il confine tra superfluo e necessario, e più passa il tempo più questa capacità diviene rara. Vorrei avere gli stessi loro occhi.
Quando hai capito che il lago d’Iseo potesse essere un ottimo scenario per una storia?
Se devo essere sincero non ho mai particolarmente riflettuto sulla questione. L’ho considerato il mio ambiente ideale fin da subito, senza chiedermi se fosse o meno uno scenario buono per una storia. Con il senno di poi, posso dire che il lago oltre a essere uno degli ambienti più fertili per la narrativa italiana è un’ottima ambientazione per la varietà delle situazioni: l’elemento dell’acqua, delle montagne a nord e della pianura padana a sud. È una realtà di provincia, ma al tempo stesso vicino alle città, con un buon afflusso di turisti. Un crocevia interessante… Per dirla come uno dei miei personaggi, è un porto di mare, ma col lago.
Come ti sei avvicinato alla scrittura? Covavi questo sogno fin da bambino o è una cosa recente?
Mi è sempre piaciuto scrivere, fin da bambino. Ricordo di un tema alle scuole elementari, proposi una variante della storia di Biancaneve, la mandai in sposa a un inesistente figlio maschio di Bill Clinton -che all’epoca era presidente. È quello il momento che considero come l’inizio, poi la voglia di scrivere mi ha sempre accompagnato, in alcuni periodi con maggiore forza, in altri meno. Tante volte la vita ci porta su percorsi che deviano dalle nostre aspirazioni, poi il destino ci rimette in carreggiata.
Quando hai capito che la tua storia poteva essere proposta a un editore?
Ecco, questo non l’ho mai capito. Ho sempre reputato valido il concetto che è meglio avere il proprio manoscritto nel cestino di una casa editrice piuttosto che nel cassetto di casa propria, quindi ho iniziato a inviare manoscritti senza pretese, immaginando che prima o poi sarebbero giunti da qualche parte, in qualche cestino, o su qualche tavolo. Tutt’altra storia è capire quando considerare concluso il proprio romanzo… lì la questione si complica.
C’è qualche libro che ha segnato la tua vita, che ti ispira?
Ce ne sono molti. Forse anche troppi. A partire dai libri di Roal Dahl letti da bambino, il classico del Piccolo Principe e del Gabbiano Jonathan Livingston, poi i quelli letti durante le scuole superiori, Calvino, Manzoni, Bassani, Baricco, Ammaniti fino a Murakami, Elizabeth Strout. Ce ne sono così tanti che sceglierne uno sarebbe davvero complicato. Ogni libro mi ha lasciato qualcosa, anche quelli che non mi sono piaciuti, come pezzi di un puzzle che si compone.
Hai mai pensato durante la scrittura del tuo primo romanzo di lasciar perdere? Hai avuto momenti di sconforto? Come li hai superati?
Paradossalmente la difficoltà maggiore l’ho avuta durante la stesura del secondo romanzo, Nemmeno Houdini. Ho avuto un momento di crisi abbastanza importante. Per fortuna m’è capitato sotto mano Una spina nel cuore di Piero Chiara, l’ho letto d’un fiato e mi ha aiutato a uscirne. Anche per questo è stato inserito nella citazione iniziale.
Oltre a quel momento di significativo sconforto, penso di lasciar perdere più o meno ogni volta che spengo il pc. Scrivo qualche pagina, la rileggo un centinaio di volte, la correggo e ricorreggo un altro centinaio di volte, alla fine spengo il computer desolato, convinto di voler buttar via tutto. Qualche volta succede davvero, qualche altra volta invece, il giorno dopo, sorrido nel rileggere e proseguo.
Qual è stata la prima cosa che hai pensato quando hai saputo che avrebbero pubblicato il tuo romanzo?
Ho pensato “devo cambiare telefono”. In quel periodo lavoravo a Milano, in un ufficio tutto a vetri infognato in un recondito angolo del mondo irraggiungibile a tutte le onde radio. Ogni tre parole saltava la linea. Prima di avere la certezza della pubblicazione ho passato lunghi minuti con il braccio alzato in cerca di campo… Ancora oggi il destro mi sembra un po’ più muscoloso del sinistro….
Puoi raccontarci una giornata “tipo” dello scrittore di romanzi? Passi molte ore al tavolo o preferisci cercare l’ispirazione in altri modi? Hai uno studio dove scrivi o scrivi dove ti capita? Hai riti scaramantici, abitudini, manie irrinunciabili legati alla tua attività di scrittore che vuoi confessare?
In realtà la mia giornata tipo è molto più comune di quanto si possa immaginare. Collaboro con alcune agenzie di comunicazione quindi trascorro gran parte del tempo davanti al computer scrivendo cose che nulla hanno a che vedere con i libri. Ai romanzi dedico le ore della sera, dei weekend, dei giorni festivi, per somma arrabbiatura della mia fidanzata (non per nulla le ho riservato un posto d’onore nei ringraziamenti, in qualche modo mi devo pur far perdonare, no?).
In quanto maledettamente disorganizzato e dispersivo, non seguo un metodo preciso. Scrivo quando e dove capita, sempre al pc e mai su carta (per evitare la fatica di dover decifrare la calligrafia da gallina lessa e la proverbiale cantilena “chi non legge la sua scrittura è un asino di natura”). D’inverno tengo spesso la borsa dell’acqua calda sui piedi, ma più che mania si tratta di problemi di circolazione ereditati dal nonno. Qualche volta riordino la scrivania prima di iniziare, con risultati scarsi, al limite dell’imbarazzante.
Quali scrittori esordienti ti piacciono? Cosa ne pensi dell’editoria in generale, dei libri in classifica?
Leggo di tutto, mi piacciono i libri di autori giovani, quelli che hanno nella scrittura la freschezza della narrazione, che usano la lingua come mezzo e non come fine. Adoro leggere le classifiche di tutti i tipi: film, libri, incassi. Mi danno la sensazione di mettere ordine nel caos. Devo però ammettere che non traggo dalle classifiche di vendita le mie letture. Preferisco il consiglio di un amico, una buona recensione in internet, il suggerimento di un libraio.
Hai in programma un terzo libro? Puoi darci qualche anticipazione?
Sicuramente continuerò a scrivere, ma ancora non so come, dove e quando. Oltre che disordinato, sono pure troppo pigro per programmare (altro motivo di somma arrabbiatura della mia fidanzata).
Ho già qualche idea che mi frulla in testa, ma ho bisogno di ragionarci ancora. Finché non la metto per iscritto non so se funzionerà, quindi meglio se non mi sbottono, potrei pentirmene.
E’ cambiata la tua vita da quando scrivi?
Spero di no. Io mi sento lo stesso, con un bel bagaglio di soddisfazione. Di tanto in tanto mi guardo le spalle, ambientare il romanzo nella zona in cui si vive è sempre un rischio, le casualità di nomi-cognomi e coincidenze sono sempre dietro l’angolo. L’unica cosa che è cambiata è l’emozione di entrare in libreria: è davvero emozionante trovare il proprio nome su uno scaffale, magari vicino a un autore fantastico (per ordine alfabetico nel mio caso mi trovo spesso tra Murakami, Musso e Muzzopappa, davvero una posizione scomoda….)
Che consigli dai a chi vuole fare lo scrittore?
Non credo di avere l’esperienza adatta a dare buoni consigli. Posso al limite dare un consiglio banale ma importante: leggere molto e perseverare altrettanto. Non demoralizzatevi e non mollate mai, soprattutto quando riceverete un rifiuto (ve lo dice uno che è candidato Oscar per permalosità). Finché troverete la vostra occasione continuate ad aspirare… mal che vada verrà buono quando andrete a convivere.