Jonathan Coe – Disaccordi imperfetti

Buon giovedì a tutti! Eccomi con il primo libro delle letture estive. Si tratta di “Disaccordi imperfetti” di Jonathan Coe. Ha 128 pagine, costa 10 euro ed è pubblicato da Feltrinelli. La traduzione è di Delfina Vezzoli.

La mia copia, in spiaggia.. Quanto è bello leggere al mare? :-)
La mia copia, in spiaggia.. Quanto è bello leggere al mare? 🙂

Dopo avermi conquistato con i suoi romanzi (qui trovate il mio preferito, nello specifico), Coe ci riprova con un libro di racconti. Non so se ho già fatto con voi le mie considerazioni sui libri di racconti: in poche parole, amo i libri di racconti. Scrivere un racconto è molto più complicato di scrivere un libro, sebbene si possa pensare il contrario (io per prima ho sempre creduto il contrario): hai dei limiti di lunghezza.

Generalmente viene considerato un racconto breve un testo che va dalle 3000 alle 45000 battute, e un racconto lungo un testo che va dalle 45000 alle 105000 battute. Con il termine “battuta” si intende ogni volta che il dito preme un tasto sulla tastiera (spazi compresi, quindi). Si oscilla dalle 50 righe alle 1750 righe (indicativamente). Oltre le 60 pagine quindi si parla già di romanzo breve (per poi arrivare al romanzo e al romanzo lungo).

Potrebbero sembrare tante, ma se provate a buttare giù una storia (quindi con personaggi e svolgimento) vi accorgerete di quanto sia difficile.

I racconti di Coe sono comunque più brevi di 60 pagine, e hanno un sottile filo che li accomuna: la malinconia.

Leggendo queste storie non si può fare a meno di scuotere la testa con disappunto, immaginando finali migliori per i protagonisti. Coe, con abile maestria, ci introduce in storie affascinanti, con pochi (ma indovinati) elementi che attirano la curiosità (libri, vecchie case), illudendoci che si tratti di una storia “dinamica”, dove tutto è ancora possibile. Invece le storie non hanno un finale, proprio perché sono già finite molto prima. I personaggi vengono riesumati da un passato ben definito solo per ribadirci l’immutabilità del tempo, la frustrazione per le occasioni perdute, quelle che solo il senno di poi ci fa vedere. Mette in moto nella testa del lettore il seducente gioco del “cosa sarebbe successo se..”. In confronto, i fantasmi di Dickens possono considerarsi dei veri eroi: se è vero che nel Canto di Natale è la coscienza a salvare i personaggi, nei racconti di Coe non c’è nessun fantasma a picchiettare sulla spalla dei personaggi per ammonirli.

E’ un gioco seducente, ma inutile e doloroso: se in passato i personaggi hanno agito in quel determinato modo, è perché non potevano fare diversamente. Con il senno di poi, l’esperienza, le conseguenze, siamo tutti capaci di vedere cosa avremmo dovuto fare (o non fare).

Il libro vuole sottolineare questo concetto, anche con racconti tipo V.O. Versione Originale dove non siamo nel passato, ma in un presente apparentemente dinamico (la storia si sviluppa insieme al racconto) ma già stabilito dalla natura stessa dei personaggi. Il racconto viaggia su dei binari che non si possono spostare, sebbene il protagonista abbia qualche dubbio sulle sue azioni. Per la serie “se uno nasce tondo non muore quadrato”. Probabilmente si potrebbe creare un altro racconto, ambientato anni dopo, dove il protagonista riflette su questo episodio, proprio come succede negli altri.

Il messaggio che ho scovato tra le righe (personalissima interpretazione) è appunto che le cose vanno esattamente come devono andare. Non c’è modo di modificarle. Una volta accadute, con il senno di poi, possiamo solo riflettere se sono state cose belle o brutte, se in un futuro si faranno di nuovo scelte simili (con condizioni simili) e se l’esperienza può davvero insegnare qualcosa.

Il fatto poi che ogni personaggio reagisca in maniera diversa ai ricordi, il fatto che percepisca il passato più o meno vicino, lascia al lettore la possibilità di trovare il personaggio più vicino al proprio modo di provare nostalgia, dando la confortante sensazione di non essere soli.

Questa confortante sensazione viene proprio ritrovata nell’ultimo racconto, che in realtà è una sorta di diario. In Billy Wilder. Diario di un’ossessione l’autore riassume a grandi linee le tappe della sua ossessione per questo regista, in particolare per un film, La vita privata di Sherlock Holmes, del 1970.

Un’ossessione inizia nel 1972 e dura oltre trent’anni. Un’ossessione che non lo molla mai, e che gli è di ispirazione per scrivere un libro, La casa del sonno. Inutile a dirlo, è un libro che parla di occasioni perdute (ma con un finale che lascia una piccola speranza, quasi allegorica).

Ho molto apprezzato questo diario-confessione. Sia perché ha confermato le mie teorie su questa raccolta di racconti (ovvero che tutti proviamo malinconia, e qualcuno sicuramente la prova proprio come la provo io), sia perché confessare un’ossessione è un po’ come andare in giro nudi. Da veri coraggiosi, di chi non teme il giudizio altrui.. 🙂 Tutti abbiamo provato ossessioni, che sia per un film, per un libro, per un personaggio, per un luogo, per un momento. Sfido chiunque a dirmi il contrario (ma mi guardo bene dal confessarvi le mie, di ossessioni)! 😀

E con questo diario Coe ci confessa, sempre tra le righe, che spesso le ossessioni nascono e si alimentano dal momento, da particolari coincidenze. Non so: se l’approccio di Coe con il libro che ha generato il film di Wilder fosse stato diverso, lui avrebbe avuto comunque l’ossessione? E qui ritorniamo al seducente gioco del “cosa sarebbe successo se..”, al principio del libro, al motivo per il quale mette in piedi un libro di racconti, apparentemente senza pretese (apparentemente, ribadisco).

Ho anche apprezzato, appunto, la sua confessione circa La casa del sonno. E’ il primo romanzo di Coe che ho letto in assoluto, quello che mi ha spinto a leggere tutti i suoi altri libri. A fine lettura mi ero chiesta dove avesse preso ispirazione, come facesse a descrivere così bene determinati stati d’animo, e già allora avevo imparato una lezione intrinseca sulla scrittura: se parli di qualcosa che conosci farai sicuramente un bel lavoro.

Non so se al suo posto (vedete? non se ne esce più da quel gioco) avrei confessato una cosa del genere: ho sempre pensato che fossero sacre e private le fonti di ispirazione per uno scrittore. Mi piace pensare che gli sia costata cara questa confessione, e che l’abbia fatto per dare un’ulteriore pacca sulla spalla a tutte le persone che hanno letto il suo libro (sia La casa del sonno che questo di cui parlo) e si sono ritrovate, senza volerlo, catapultate nel proprio passato. Con la consapevolezza di provare qualcosa che accomuna tutti gli uomini.

Una riflessione apparentemente banale, finché non si legge questo libro.

Giovanna

 

La frase che ho sottolineato: “Niente di quel pomeriggio ha ancora iniziato a sbiadire”

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4 risposte a "Jonathan Coe – Disaccordi imperfetti"

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