Recensione di Paquito Catanzaro
Partiamo da un presupposto: è la mia prima recensione. Non mi aspetto, certo, la comprensione dei lettori (una cosa tipo “Non sparate al pianista!”), ma non nascondo l’emozione nel cominciare questa nuova collaborazione.
Prima recensione, dicevamo. E direi che si comincia bene, visto che il libro appena letto è Le notti blu di Chiara Marchelli, edito da Giulio Perrone Editore. Un ottimo romanzo. E potrei terminare così questa recensione, augurandomi che queste poche parole valgano più di qualsiasi altro commento. No. Non si può raccontare questa storia in sole sette sillabe.
Meglio dare qualche informazione in più. A cominciare dai protagonisti: Larissa e Michele, due italiani trapiantati all’estero (perdonate la frase fatta, è pur sempre la mia prima recensione!), in una New York che diviene lo sfondo perfetto per raccontare una storia in cui il concetto di “perdita” ha un peso determinante.
Larissa e Michele, infatti, sono due genitori che, cinque anni prima, hanno perso il loro unico figlio Mirko, un ragazzo poco più che trentenne che decide di mettere fine alla propria vita (tranquilli, nessuno spoiler: non siamo che all’inizio della narrazione).
Quel figlio, Mirko, che l’autrice presenta grazie all’uso sapiente del flashback: si scopre così che Michele, docente universitario, cerca di condividere col figlio le proprie passioni, gli interessi e gli studi immaginandolo, un giorno, suo erede all’università, il tutto mentre Larissa stuzzica il suo giovane palato con focacce preparate rispettando la tradizione culinaria ligure.
Un rapporto destinato a evolversi, quello tra i genitori e Mirko, col ragazzino che, crescendo, afferma la propria identità: dal desiderio di studiare geologia, a quello di tornare in Italia per sposare Caterina, quella ragazza che prima renderà moglie, poi vedova, infine portatrice di un segreto che diviene il vero punto chiave della storia.
Attraverso una lettera, infatti, Caterina scopre che Mirko è stato citato in giudizio per il riconoscimento di un bambino. Un segreto che il giovane aveva portato con sé nella tomba e che, irrimediabilmente, scuote la monotonia post mortem dei due coniugi e della loro nuora.
Ritornati in Italia, Michele e Larissa incontrano un avvocato, che sconfessa qualsiasi procedimento contro Mirko, aggiungendo che il ragazzo abbia riconosciuto la paternità. Di lì, tra New York e una innevata Courmayeur, i due protagonisti vorranno vederci chiaro e scoprire l’identità di quel bambino.
Riuscirà la scoperta di avere un nipote a compensare l’assenza di un figlio? E quanto questo bambino altererà gli equilibri di Michele e Larissa, anche e soprattutto nel rapporto con Caterina, ormai sempre più distante da quel nucleo familiare nel quale ha sempre avuto un ruolo molto marginale?
Devono restare sospesi questi quesiti. Ed essere offerti a coloro i quali vorranno leggere questo romanzo che non ha affatto sfigurato nella dozzina del Premio Strega e che, forse, avrebbe meritato maggior attenzione.
Un trauma familiare offerto con grande delicatezza, una New York tratteggiata su un foglio di carta appuntato poi alla parete per guardare gli scorci da cartolina o i dispersivi campus universitari. Il resto è una storia che va letta, fidandosi di uno che ha appena terminato la sua prima recensione.
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