Buongiorno a tutti! Sono molto emozionata: è il primo post di questa nuova sezione dedicata alla scrittura, e mi fa piacere aver ricevuto già numerosi consensi. Pur sembrando inutile e banale, voglio iniziare proprio dal principio, cioè da quando lo scrittore ancora non si è seduto al suo tavolino, da quando sta solo accarezzando l’idea di scrivere: parleremo della motivazione.
Perché si decide di scrivere? Potrebbe sembrarvi una domanda inutile, dalla risposta scontata: scrivo perché mi piace scrivere. A sentire certe persone, si scrive come se si fosse stati colti da una vocazione, da una sorta di chiamata mistica, che fa trovare loro pace solo di fronte a un foglio e una penna. Te li immagini come dei geni incompresi, malinconici, chiusi in casa in compagnia solo di un gatto annoiato, in una grigia giornata, a buttare parole su parole, alla ricerca di una pace interiore che difficilmente arriverà. Pur essendo tutto ciò molto suggestivo, non è per niente così. La scrittura non è vocazione. La scrittura non è una ricerca di un benessere interiore. La scrittura non è un passatempo di cui vantarsi, un’attività paragonabile all’uncinetto o al tennis. Si scrive perché si ha qualcosa da dire. “Si, certo, ovvio”, direte voi. Purtroppo non è così ovvio, anzi, sembra quasi che cosa scrivere sia un problema secondario, tanto, l’importante è scrivere. L’importante è girare con un blocchetto in tasca e guardare la gente con aria trasognata, in attesa di qualcosa da scrivere. L’importante è farlo, o dire di farlo.

Se incappate in un blog dedicato alla scrittura, dove il proprietario vi parla della scrittura in questi termini, fuggite, schiacciate la x in alto a sinistra e non tornateci più. Fatelo per voi stessi, credetemi! 😉
La scrittura è un lavoro, è un’attività da abile stratega, che inizia con due domande: che cosa voglio raccontare? Come lo voglio fare? Se avete la risposta a entrambe le domande, siete a buon punto. Se invece vi siete resi conto che le risposte sono vaghe (“voglio raccontare di una famiglia che vive in campagna”, “voglio raccontare del disagio giovanile” sono solo due esempi), o del tutto assenti, potete fare chiarezza leggendo qualche testo e cercare le risposte. In qualsiasi storia, libro, romanzo, racconto, c’è sempre una risposta a entrambe. Non è un caso se in Italia si scrive molto di più di quanto si legge, e il fenomeno si ricollega all’idealizzazione della scrittura di cui parlavamo poco fa. Un buon scrittore è prima di tutto un buon lettore, colui che sa trovare la risposta a queste due domande in ogni testo, colui che nota le differenze di motivazione, di metodo di scrittura (nel mio blog non sentirete mai parlare di stile – più avanti spiegherò perché), e che sa di conseguenza rispondere per la sua storia, quella che ancora non ha scritto, ma che vorrebbe tanto raccontare. Da queste due domande non si sfugge. Da queste due domande si parte. Tutto il resto sono chiacchere, favolette che ci si racconta. Tanto vale credere a Babbo Natale.
Purtroppo io non posso rispondere per voi a queste domande, e nemmeno aiutarvi a farlo: siete voi che dovete capire come mai sentite il bisogno di raccontare una determinata storia. Certo, siamo esseri umani, e la letteratura ci insegna che ci sono degli argomenti ricorrenti che fanno proprio parte di ciò che siamo: i sentimenti, la ricerca di un senso della vita, una crescita, e più in generale tutto ciò che riguarda – appunto – l’essere umano. Ricordate che chi scrive lo fa per far si che qualcun altro possa leggere, e provare (se lo scrittore è bravo) le stesse emozioni dello scrittore. Non è sbagliato dire che scrittore e lettore sono alla ricerca della stessa cosa, cioè della condivisione di un’emozione, ma con due ruoli ben differenti. Per quanto l’attività dello scrittore si esegua in solitaria, non bisogna mai dimenticare che bisogna scrivere come se ci fosse qualcuno a leggere lì con voi. Anche questo dovrebbe aiutare con le due domande di sopra: immaginarsi qualcuno che non abbia la minima idea di cosa vogliate scrivere è un ottimo modo per non distrarsi, per non cadere nel seducente tranello di scrivere tanto per scrivere, di fare sfoggio letterario. Con i virtuosismi ci si fa poco. Per approfondire il discorso del lettore immaginario vi rimando a un libro che ho adorato, scritto da uno scrittore che ha tanto da insegnarci, Stephen King (On writing. Autobiografia di un mestiere, Frassinelli editore). Tanto so che ce l’avete, il lettore immaginario! 😊
Vi lascio con una bellissima vignetta di Grant Snider, e qualcosa su cui riflettere.
Giovanna

Il compito che mi spetta e che cerco di assolvere è di riuscire, col potere della parola scritta, a farvi udire, a farvi sentire… di riuscire, soprattutto, a farvi vedere. – Joseph Conrad
Buonasera, splendido articolo. Per quanto mi riguarda, l’ho letto con piacere e l’ho trovato utile. Grazie!