Ciao a tutti! Oggi parleremo di qualcosa legato strettamente al concetto di scrittura, ovvero lo stile. È un termine che odio, e che tendo a non usare, perché generalizza troppo un concetto che invece è ben specifico. Soprattutto è un termine che si sente spesso usare in maniera inappropriata. Quante volte mi capita di sentire “mi piace il suo stile”, ma poi di fatto non è chiaro che cosa piaccia nello specifico. Per comodità parlerò anche io di stile, ma normalmente tendo a non usare mai questo termine, soprattutto nei miei giudizi.
Con stile si intende il personale modo dell’autore di organizzare e gestire narrativa, sintassi, problemi grammaticali, lessico e tutto ciò che sta attorno alla creazione di una frase. È qualcosa che non si sistema a scrittura ultimata, o sul quale si può costruire una strategia, ma è qualcosa che è strettamente legato al singolo individuo. Il modo nel quale si scrive influenza ciò di cui si scrive, mentre rivela a chi legge qualcosa dell’autore. Se è vero però che è qualcosa di innato, è anche vero però che si può personalizzare, rendendo più efficaci le espressioni, costruendo frasi dal ritmo più adatti alla vicenda, o anche scegliendo parole appropriate per trasmettere emozioni.
Come detto in precedenza, lo stile fa parte delle fondamenta di un testo: molti esordienti tendono a “pensarci dopo”, a fine stesura, con la conseguenza di un testo che risulta artefatto, per niente naturale. Un po’ come truccare in stile Moira Orfei una ragazza che non va oltre al velo di lucidalabbra: l’effetto è lo stesso, ve lo garantisco. Lo stile è importante esattamente quanto la trama, i personaggi o altri elementi fondamentali. Di Moira Orfei ce ne è stata una sola.

Si può pensare che sia qualcosa di estremamente naturale per uno scrittore, dato che utilizza proprio la sua lingua per esprimersi, alla stregua di un pittore che usa i colori. E proprio come si inorridisce di fronte a una tela dove i colori non sono usati bene, allo stesso modo è impensabile che uno scrittore non conosca la propria lingua. L’italiano è una delle più difficili al mondo, ma questa non è una giustificazione! Allo stesso modo, spesso si pensa che basti esprimere un concetto, tralasciando le regole grammaticali. Norman Mailer, scrittore americano, diceva che “lo stile è sinonimo di carattere: un pessimo carattere, privo di disciplina, non potrà mai esprimere un ottimo stile”. Credo poco al mito dei geni incompresi, di coloro che pensano che l’assenza di regole sia arte pura. Soprattutto nello scrivere.
Ad ogni modo, non penso si possa pretendere una conoscenza della grammatica italiana da insegnante: parlare è un fatto istintivo e molte regole si imparano implicitamente. Allo stesso modo l’orecchio riconosce un errore, senza però magari essere in grado di spiegare il perché. C’è da dire però che se una persona ama scrivere, probabilmente ama anche la lingua con cui scrive, e sarà interessato alle regole che ci sono dietro. Anche perché solo una perfetta conoscenza di un determinato argomento permette la massima creatività. Non si impara a scrivere studiando le regole della grammatica, ma scoprendole nella realtà della lingua. E il modo migliore per farlo è leggendo: il linguaggio è qualcosa di vivo, in continua evoluzione, ma che si basa su delle regole. Lo scrittore dovrebbe quindi conoscerle per poi applicarle al proprio modo di vedere la vita. In sostanza: serve una visione elastica delle regole, che però bisogna conoscere. Per qualche genio incompreso potrebbe sembrare assurdo, qualcosa di inutile e faticoso, ma se amate davvero la scrittura, il libro di grammatica vi sembrerà più affascinante di qualsiasi altro romanzo. Dovreste vedere la gelosia e la cura con la quale conservo il mio libro di grammatica delle medie, tre anni nei quali ho scoperto la bellezza della scrittura (ma questa è un’altra storia: prima o poi ve la racconterò). 😉
Si parte quindi da un proprio stile personale, frutto di anni di letture, scritture, esperienze di vita, etc.. Ma si può migliorare il proprio stile? Per rispondere alla domanda vi riporto una citazione di John Steinbeck: “Le parole assorbono gli odori e i sapori come un pane di burro lasciato in frigorifero”. Proprio come detto poco fa, parlare è un fatto istintivo, ed è giusto – oltre che inevitabile – assorbire quello che ascoltiamo e che leggiamo. Sia che si abbia già un proprio stile consolidato, sia che non ci sia mai posti il problema. Lo stile inevitabilmente evolverà con il tempo, in base alle vostre esperienze, alle vostre letture, ai vostri orizzonti. Lo scrittore è un professionista delle parole: il suo obiettivo è quello di spaziare oltre il ristretto numero di vocaboli utilizzato in media ai giorni nostri, esplorare ciò che lo circonda e tutto ciò che fa parte dell’universo letterario. Non può esistere uno scrittore che non sia curioso.
Un buon scrittore è sempre alla ricerca della parola giusta, quella che non solo riesce a esprimere un certo significato, ma che è anche in grado di trasmettere emozioni: deve fare l’effetto di una carezza, di un pugno allo stomaco, di una minaccia.. Allo stesso modo, deve preoccuparsi di non abusare troppo delle stesse parole, o di non scegliere parole assurde, desuete, troppo lontane dal suo stile. Chi scrive deve preoccuparsi costantemente del significato delle parole che impiega: non solo di quelle più strane ma anche – e soprattutto – di quelle di uso comune, dato che sono quelle di cui si ignorano le diverse accezioni e la ricchezza di sfumature che esse possono offrire. L’italiano è una lingua complessa, ma anche una delle poche che ci può permettere tutto ciò, e non è poco!
In un corso di scrittura mi era stato posto il seguente quesito: immagina un ragazzo che deve oltrepassare un cancello di ferro. Come descrivere la situazione?
In maniera molto tranquilla, si potrebbe dire: “Il ragazzo con molta attenzione si aprì un varco tra le sbarre”. Ci si immagina un novello Indiana Jones che a colpi di machete si fa strada in una giungla. Si potrebbe anche dire: “il ragazzo passò contorcendosi tra le sbarre”, richiamando l’idea di un contorsionista, o di un invertebrato, rimanendo nella giungla. Non c’è ovviamente un modo giusto o sbagliato, ma sono stati scelti termini usati fin troppo spesso per esprimere concetti analoghi. Si pensi invece alla frase: “il ragazzo si insinuò tra le sbarre di ferro della cancellata”. Il termine “insinuarsi” comunemente significa “instillare o destare accortamente in altri, con malanimo e per interessi personali o con secondo fine, sentimenti negativi, opinioni erronee etc etc” (dal dizionario Treccani). Significa anche “penetrare a poco a poco, lentamente” e tra gli esempi proposti è la scelta migliore: non è scontata, è originale e fa riferimento a un’altra accezione di un termine conosciuto. Per migliorare il proprio stile si può cominciare acquisendo maggiore familiarità con le parole, partendo da quelle che si conoscono e approfondendo le possibili sfumature.
Oltre a migliorare le parole che si usano, si possono migliorare anche le frasi: esistono frasi brevi e frasi lunghe, frasi che stimolano riflessioni e frasi più leggere, di supporto. Il ritmo dell’azione e il comportamento dei personaggi vengono controllati proprio dalle frasi. Frasi brevi sono più incisive e drammatiche; frasi lunghe più riflessive e descrittive. Una scelta opportuna migliora notevolmente quello che viene percepito come stile dal lettore.
Oltre a un buon ritmo, le frasi devono anche avere un suono giusto, al fine di trasmettere l’emozione che volevate comunicargli. Per questo motivo bisogna stare bene attenti a costruire frasi più o meno lunghe anche in merito alla relazione causa/effetto.
“Angelo si alzò. Ando in cucina. Prese un coltello. Andò verso Andrea. Andrea fuggì.” Sono tutte frasi brevi, che però non coinvolgono il lettore.
“Angelo si alzò, andò in cucina, prese un coltello e andò verso Andrea, che fuggì”. Questa è una frase unica, ma non è la scelta migliore, perché non tiene conto della causa (Angelo che prende il coltello) e della conseguenza (Andrea che fugge).
Sarebbe più opportuno scrivere: “Angelo si alzò, andò in cucina e prese un coltello, avanzando verso Andrea. Andrea fuggì nervosamente.” In questo caso la prima frase lunga introduce la seconda, breve e drammatica.
Bisogna infine stare attenti alla costruzione delle frasi lunghe: deve funzionare alla perfezione, dato che comporta più elementi al suo interno. Il suggerimento più diffuso è quello di provare a leggere la frase: se bisogna riprendere fiato prima di essere giunti alla fine, o se non si capisce il senso, c’è qualcosa che non va.
Ernest Hemingway, grande cultore dello stile, dà un suggerimento che sicuramente migliora lo stile di ogni aspirante scrittore: “Tutto quello che dovete fare è scrivere una frase che sia vera. Scrivete la frase più vera che conoscete.” E direi che non c’è altro da aggiungere!
Vi lascio come sempre con qualche link a libri che trattano l’argomento:
Discorso sullo stile di Georges Louis Buffon
Saggio sul gusto di Charles L. de Montesquieu
Retorica e stile di Rémy de Gourmont
Giovanna
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