Ciao a tutti! Oggi torniamo a commentare i diritti del lettore secondo Daniel Pennac, illustrati nel suo libro Come un romanzo (trovate qui la prima puntata): dopo il diritto di non leggere è la volta del diritto di saltare le pagine.
Pennac racconta di quando ha visto il fratello leggere Guerra e pace di Lev Tolstoj con grande avidità, a tal punto da esserne incuriosito pure lui. Il fratello gli regalò il libro, raccontandogli che parla di una grande storia d’amore. Pennac rimase anche lui coinvolto dalla trama, ma decise di saltare le questioni politiche, di strategia alla base delle battaglie raccontate nel libro. Cercò, insomma, solo i pezzi di intreccio. In questo modo, a dodici anni, scoprì una storia che tendenzialmente è considerata proibitiva per quell’età, e spesso e considerata indigesta anche dagli adulti. Quindi ben vengano i salti di lettura: piuttosto che non conoscere una storia, meglio conoscerla a proprio modo.
Condivido questo approccio, perché penso che leggere una parte di un libro sia sempre meglio che non leggero affatto, ma facendo delle precisazioni.
Il metodo da lui proposto è sicuramente buono soprattutto se si parla di bambini, perché permette, come già detto, di far conoscere grandi storie ai bambini. Non è un caso che quando lavoravo alla Libreria dei Ragazzi, i libri più venduti erano riduzioni e rielaborazioni di grandi classici. Bisogna però tenere in mente che così facendo prendiamo una parte di un libro, che – come mi piace sempre ricordare – racchiude molti aspetti dello scrittore. Anche le scelte narrative, le descrizioni, le digressioni, aiutano a capire al meglio un’opera e chi la scritta, senza dimenticare che ci dicono molto anche dell’epoca in cui vive lo scrittore.
Un secolo fa ad esempio nessuno viaggiava, era considerata un’attività per persone benestanti, e i libri avevano grandi ambientazioni con grandi descrizioni per permettere ai lettori di viaggiare. Alcuni libri, come i fantasy invece, necessitano di grandi descrizioni proprio perché sono ambientati in mondo fantastici, di cui il lettore non sa nulla.
Personalmente parlando mi sono ritrovata più volte di fronte alla tentazione di saltare le pagine, ma non l’ho mai fatto. Piuttosto si sono presentate due scelte: abbandonare il libro o proseguire. La voglia di saltare le pagine dovrebbe essere presa come il segnale che qualcosa in quel libro non ci sta piacendo, e per questo trovo poco utile saltare le pagine per prendere solo la trama. Se si vuole sapere come va a finire un libro si può tranquillamente cercare on line o farselo raccontare da chi lo ha già letto. Saltare le pagine non è un lavoro semplice, non sai mai dove e quando riprende la storia, e porta via del tempo. Mi è successo di fare così con Il signore degli anelli di Tolkien (lo so, perderò follower, ma mi piace essere sincera): come dicevo sopra, le descrizioni sono necessarie in un fantasy, ma più andavo avanti con le pagine, e più perdevo interesse per la storia. Non amo i fantasy, forse proprio perché comportano molte pagine di descrizioni e precisazioni. Tempo dopo ho recuperato la storia con il film: lo so, lo so, non è affatto la stessa cosa, ma mi sono tolta la curiosità della trama in poche ore. Più volte mi è stato detto che il libro è un capolavoro: a dirmi una cosa del genere è stato anche il mio professore di editor, e prima o poi ci riproverò, ma sarà un approccio da studio.
Diversamente è andata con Il nome della rosa, di Umberto Eco. Sono stata obbligata alla lettura in seconda liceo, come compito delle vacanze estive. Ricordo che a mio fratello quel libro era piaciuto molto (e lui è uno che non legge), quindi non ero molto preoccupata. Purtroppo anche in questo caso, alle prime digressioni sul convento e sul periodo storico, mi sono fatta spaventare. Decisi di abbandonarlo, recuperando con un buon riassunto fatto da mio padre a fine vacanze. Ricordo però che nei giorni successivi continuai a pensare ai personaggi introdotti, all’atmosfera che quelle poche pagine mi avevano evocato, e – forse complice anche la noia estiva – lo ripresi in mano, per non mollarlo mai più. Le digressioni, poco alla volta, erano diventate piacevoli, perché mi davano la sensazioni di essere anch’io insieme ai personaggi in quel convento, apprezzando usi e costumi. Probabilmente queste ambientazioni sono più nelle mie corde rispetto a quelle fantasy, impedendo alla curiosità di non morire del tutto.

Quindi si, concordo con Pennac sul diritto di saltare le pagine, ma vi consiglio di usarlo come spunto di riflessione per eventualmente abbandonare la lettura – o metterla in pausa, nella speranza che vi aiuti a capire se quel libro vi stia mancando o no.
Avete mai saltato le pagine di un libro? Fatemi sapere quale!
Giovanna