Buon venerdì a tutti! Il terzo diritto del lettore secondo Daniel Pennac è il diritto di non finire un libro. La sua spiegazione si può riassumere così: “Il libro ci cade dalle mani? Lasciamo che cada”.
Continua dicendo che ci sono mille ragioni per abbandonare un romanzo, tutte legittime. Che il tempo per leggere non è mai troppo, e che è meglio passarlo con qualcosa che ci piaccia davvero.
Parlando con amici e parenti ho notato che sono molti di più quelli che non abbandonano il libro, nemmeno sotto tortura, perché ormai lo hanno iniziato ed è giusto dare fiducia a un libro. Quando ero più piccola la pensavo anche io così; poi ho realizzato che il tempo per leggere è sempre meno, e sono assolutamente d’accordo con Pennac che è meglio passarlo con un romanzo che ci piaccia.
Una scelta arrivata anche dopo aver iniziato a fare il mio lavoro, ovvero la consulente editoriale. In quel caso il libro lo devo leggere per forza fino alla fine, perché devo poi compilare una scheda di valutazione e un riassunto dettagliato, e mi sono accorta proprio con il mio lavoro che portare a termine un libro che non ci piace è più faticoso di quanto pensassi. Non credo nemmeno più ormai alla teoria del “dare fiducia al libro”, perché sempre con il mio lavoro ho scoperto che difficilmente un libro può cambiare all’improvviso e iniziare a piacerci se per buona parte dell’inizio non ci è piaciuto. Secondo me poi questa fiducia non è nemmeno meritata: anche ammesso che sia possibile che un libro migliori notevolmente (e con notevolmente intendo a tal punto da non spingermi più ad abbandonarlo), perché queste qualità non sono state usate all’inizio per conquistare il lettore? Qualsiasi scrittore sa che l’incipit e i capitoli iniziali sono la parte più importante, non ha senso dargli fiducia quando non ha nemmeno capito come sfruttare le sue potenzialità.
Infine, anche come sostiene Pennac, l’abbandono di un libro è doveroso quando si capisce che non è il momento giusto per leggerlo, magari per la lunghezza del testo, per l’argomento, per l’impegno che la lettura richiede. È giusto abbandonarlo per dargli l’eventualità di essere letto in un momento più propizio. A questi libri viene regalata quindi una sorta di rilettura (che guarda caso è l’argomento del prossimo diritto) che può portare a due conclusioni: o il libro viene portato a termine, o viene definitivamente abbandonato, offrendoci l’occasione di capire perché non ci piace, alimentando il nostro gusto personale, che dobbiamo difendere. In ogni caso, tutto di guadagnato.
Pennac conclude che quando ci viene chiesto come non ci possa piacere Stendhal, noi dobbiamo rispondere che può tranquillamente non piacerci. Nel mondo per fortuna moltissime cose sono soggettive, ed è proprio questa diversità di gusti, esperienze, sensibilità, pareri, che dovrebbe stimolarci a creare nuove relazioni, nuovi dialoghi, nuovi momenti di scambio. Certo, riconosco che spesso la diversità spaventa invece di attrarre, ma proprio per questo dobbiamo difendere la nostra unicità a tutti i costi.
Io in genere mi becco sempre un sacco di critiche quando dico che non mi piace L’ombra del vento di Zafón (qui spiego perché), anche se devo dire che non è un libro che ho abbandonato.
Ho abbandonato senza pietà diversi libri, al momento mi vengono in mente Che tu sia per me il coltello di David Grossman e L’ultima riga delle favole di Massimo Gramellini, che ho regalato. Non ho ancora sentito la mancanza di questi volumi, e dubito che darò loro una seconda chance. Un libro che invece ho ripreso in mano, ben felice di farlo, è Il nome della rosa di Umberto Eco, come già vi raccontavo nel precedente episodio di questa rubrica.
E voi? Abbandonate i libri? Quali non siete riusciti proprio a finire?
Giovanna
Diritto sacrosanto. Altrimenti avrei dovuto smettere di leggere