Sono stata a Parigi due volte, nel 1994 e nel 2000, ed entrambe le volte sono stata pervasa da una moltitudine di sentimenti e sensazioni, che in pochissime altre città ho rivissuto. Non saprei bene spiegare perché: un po’ per l’oggettiva bellezza del posto, un po’ per l’atmosfera che solo un fiume che taglia una città sa regalare, un po’ per il via vai di persone, che a me sembravano sempre allegre e in procinto di fare qualcosa di importante. Ma Parigi è nel mio cuore, e sogno di tornarci presto.


Per questo sono stata ben felice di ricevere in regalo dalla casa editrice, Feltrinelli, il nuovo libro di Lorenza Gentile, dal titolo Le piccole libertà, che è ambientato proprio a Parigi. Ringrazio anche in questa occasione la casa editrice per l’omaggio, precisando (anche se spero non serva) che il mio parere è totalmente sincero. Ricevo tanti libri in regalo, non uso recensioni false per ottenerne altri.
Torniamo al libro: Oliva (sì, come le olive da mangiare) è una giovane ragazza che si divide tra un lavoro precario, una famiglia fin troppo presente e un fidanzato che sembra finto da quanto è perfetto, quando riceve un misterioso pacco dalla Francia. A mandarglielo è sua zia, una zia che lei adorava ma con la quale la sua famiglia ha interrotto i rapporti bruscamente quindici anni prima, in seguito ad alcune scoperte delle quali però Oliva non sa niente. Insieme al pacco riceve un biglietto del treno per andare a trovarla, con la promessa di spiegazioni capaci di colmare questo buco di quindici anni.
Oliva inizialmente è molto titubante. Poi però, decide di accettare l’invito: si ritrova a Parigi, dove otterrà molto più di semplici risposte. Insieme a uno stravagante gruppo di personaggi, vivrà giorni apparentemente “normali”, che però saranno in grado di darle più risposte di quelle che stava cercando.
La cosa che mi ha colpito di più in assoluto è che Oliva appunto vive giorni normali, anzi, più normali ancora di quello che farebbe un turista. Lo conferma anche il fatto che i capitoli sono proprio i giorni della settimana, che passano veloci, uno dopo l’altro.
Oliva Prende alloggio presso la libreria Shakespeare and Company, punto di ritrovo di tanti giovani. George Whitman, il proprietario, l’ha trasformata in una casa aperta a tutti gli spiriti liberi alla ricerca di qualcosa, i cosiddetti “tumbleweeds”, richiamando alla mente gli arbusti che rotolano veloci nelle praterie. Oliva quindi si divide tra la ricerca della zia, che da subito diventa introvabile, e la vita in libreria, dove conosce diverse persone. Non fa la turista, ma viene inglobata da subito in questo micromondo che è la libreria, e non le rimane altro che adeguarsi. Conosce Victor, uomo enigmatico dallo spirito libero, con il quale passerà molto tempo, sentendo ben presto la vita parigina accogliente e familiare.
A mano a mano che il racconto va avanti, ho percepito chiaramente le sensazioni di Oliva in merito a Parigi, e anche lei, come me, sente che tutte le persone che incontra sono in procinto di fare qualcosa di importante. Ho avuto la netta sensazione che stesse vivendo le identiche sensazioni che ho vissuto io a Parigi, regalandomi una terza visita in questa città senza muovermi dal letto. È la prima volta in assoluto che sento di potermi immedesimare totalmente con le sensazioni di un personaggio.
Come dicevo è stata una sensazione che ho acquisito gradualmente, andando avanti con la lettura, che ha spazzato via altre sensazioni iniziali meno belle, tipo la mancanza di intreccio. Chi mi segue sa che considero importante l’intreccio, soprattutto per la capacità che ha – se sfruttato bene – di tenere il lettore inchiodato al libro. Dopo un attacco introduttivo, dove l’autrice spiega bene chi sia Oliva, che vita faccia, passano diverse pagine prima che arrivi a Parigi. Una volta arrivata a Parigi di fatto rimane come elemento narrativo la ricerca della zia, che si sviluppa attraverso altri piccoli episodi. Il fastidio iniziale nel constatare che sarebbe stato un libro senza grandi intrecci è stato scacciato pagina dopo pagina, sostituito dal piacere di rivivere attraverso la carta emozioni, profumi, sentimenti che avevo io stessa provato nei miei due viaggi nella capitale parigina.
È passato tutto in secondo piano: non mi importava più che non ci fosse intreccio, non mi importava più che la ricerca della zia stava diventando troppo lunga, non mi importava più nemmeno dello stile dell’autrice, a mio personale gusto e parere ritenuto un po’ troppo ridondante e vittima della paura di dimenticarsi informazioni importanti. Mi importava solo che Oliva continuasse a stare a Parigi, a vivere la città permettendomi di essere al suo fianco.
I più superficiali troveranno queste mie parole negative, ma in realtà vogliono esprimere tutt’altro. L’autrice è stata in grado di fare una cosa difficilissima (non so se lo abbia fatto in maniera conscia), ovvero puntare tutto sulle sensazioni del lettore. Ci è riuscita perché il libro è in parte autobiografico: Lorenza è stata a Parigi, ha alloggiato in quella libreria, e ha messo tanto della sua esperienza in questo libro. È la riprova che a parlare di cose che si ha davvero vissuto si vince sempre. Lorenza probabilmente voleva mettere nero su bianco la sua esperienza, le sue sensazioni, perché in cuor suo le ha vissute al massimo, ha ritenuto che valesse la pena raccontarle. Nel libro non succede nulla di eclatante, non ci sono grossi colpi di scena, ma le sensazioni che arrivano sono così reali e coinvolgenti che si rimane letteralmente conquistati.
La mancanza di intreccio fa capire – appunto – che l’autrice sia partita proprio dalla voglia di raccontare la sua esperienza, un’esperienza che probabilmente l’ha segnata così tanto da avere voglia di lavorarci su e trasformarla in un romanzo, ovvero in qualcosa che possa coinvolgere un grande pubblico. Difficilmente un’idea può trasformarsi in un romanzo, ma Lorenza ci è riuscita, stravolgendo per una volta il concetto classico di romanzo, o meglio, quello che ci si aspetta da esso.
Quello che lei propone è molto di più: è un viaggio all’interno di un suo ricordo. È una condivisione di un suo momento della sua vita. È il mostrarci una morale che solo la vita vissuta ci insegna, che a parole suona banale, ma non è mai banale nei fatti. Se ne leggono tanti di romanzi che hanno questo scopo, ma che poi rimangono a metà delle due cose (della storia e della morale), risultando banali in ogni aspetto. Lorenza ha puntato tutto su una delle due cose, con risultati sorprendenti.
Giovanna

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